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Chiara Curione, Costanza di Svevia e il femminismo nella storia

Chiara Curione, Costanza di Svevia e il femminismo nella storia

Il romanzo storico spiegato a Classic Drive Art

Costanza di Svevia. Il ritorno della regina esce il 19 dicembre per Edizioni Esordienti E-book, riportando i riflettori su un genere dalle potenzialità inesauribili: il romanzo storico. L’autrice, Chiara Curione, racconta a Classic Drive Art come ha saputo incanalare la sua profonda passione per la storia in un un romanzo di 251 pagine, nel quale fantasia e realtà documentata si uniscono in un mix esplosivo. 

Siamo nella Sicilia dei Vespri, quando la lotta per la vita si intrecciava con morte e distruzione. Mentre le guerre civili imperversano nei regni di Sicilia e di Puglia, a mantenere saldo l’equilibrio sulla terra emerge una donna, Costanza di Svevia. È lei la prima colonna portante di un romanzo che si imbastisce sull’architrave del femminismo segreto e inosservato che si cela nella grande Storia. Il che fa sorgere spontanea la domanda: quante Costanze di Svevia si saranno nascoste, in realtà, dietro agli uomini che il patriarcato ha propinato per anni ai manuali di storia?

«Sono partita con Costanza di Svevia, la mia scelta è partita da lì» racconta la Curione, davanti alla telecamera di Classic Drive Art. «Avevo già incontrato questo personaggio scrivendo il mio precedente romanzo, su Manfredi di Svevia, quindi il padre di Costanza di Svevia. Il mio romanzo si svolge comunque nell’arco di tempo di due anni. Ho messo in luce questo biennio e anche la figura di questa grandissima donna, che ha avuto delle grandi doti diplomatiche, che è riuscita a reggere gli equilibri di questo periodo».

Accanto a Costanza, poi, altre due donne reggono le fila del romanzo di Chiara Curione: la baronessa Macalda, eterna rivale di Costanza, e Imelda, emancipata donna-medico formata alla Scuola Medica Salernitana, malvista per la sua intraprendenza e indipendenza. La ricerca delle fonti di Chiara Curione sembra scavare nelle testimonianze delle grandi donne dell’epoca, quasi a voler dimostrare che il femminismo, in fondo, è sempre esistito. La scoperta di documenti che attestano la preparazione medica di molte donne, persino autrici di trattati di medicina o anatomia, ne è la prova. 

Il vero femminismo, però, non si limita all’esaltazione della virtù della donna. Non si ferma all’adulazione del “gentil sesso”, non punta al suo predominio ingiustificato. Il femminismo si basa sull’uguaglianza e sull’oggettività, e Maria Curione lo sa bene. Per questo, nel dipingere i grandi personaggi femminili della storia, si preoccupa di non demonizzare quelli maschili. Questi ultimi «mossi dal desiderio di potere, sono forti e astuti, a volte mostrano debolezza, ma emerge in loro sempre il lato umano facendone nel bene e nel male uomini degni d’onore». Perciò «No» conclude l’autrice «non ho voluto togliere nulla agli uomini, perché comunque sono stati dei personaggi di grande valore, molto capaci». 

È il valore della Storia: riconoscere i grandi che ci hanno preceduto, a prescindere da sesso o genere. 

«L’ho sempre amata moltissimo: non so se forse si nota questa mia passione per la storia…» sorride Maria Curione. «Mi piace quindi trasmettere anche i valori che la storia trasmette, mettere in luce il suo valore pedagogico. Ecco perché, nei miei romanzi, i personaggi sono personaggi realmente esistiti».

Valentina Baraldi

Guardate l’intervista a Chiara Curione nella sesta puntata di Classic Drive Art

 

Finalmente la primavera: la lettura delle emozioni di Lavinia Lalle

Finalmente la primavera: la lettura delle emozioni di Lavinia Lalle

Il romanzo raccontato a Classic Drive Art

«Finalmente la primavera, finalmente quel profumo di gelsomino misto al sole di maggio che batte sui marciapiedi romani. Finalmente quell’aria calda, ma non troppo». Inizia così l’intervista Lavinia Lalle, ospite della sesta puntata di Classic Drive Art. Il suo romanzo, Finalmente la primavera, uscito quest’anno per Porto Seguro, è un vero e proprio manifesto della speranza e dell’emotività consapevole. 

«Sì, io ho voluto mettere un faro sulle emozioni» esordisce sicura Lavinia Lalle. Finalmente la primavera è questo: un fascio di luce su quello che ci rende al contempo fragili, esposti, ma anche incredibilmente forti, unici, umani. 

Animare su carta in grado di veicolare un messaggio tanto profondo non è facile, e Lavinia ha scelto di farlo ispirandosi ai grandi romanzi della tradizione russa. «Diciamo che sono una grande appassionata di autori russi, in particolare Tolstoj, Dostoevskij» sottolinea infatti Lalle. «Quando li leggo mi rendo sempre conto di quanto non siano mai cambiate, nel corso del tempo, le sensazioni, le emozioni umane. Quello che ho cercato di fare, rifacendomi a loro in maniera assolutamente indegna, è mettere appunto le emozioni al microscopio, cercando di dilatarle proprio per leggerle meglio; perché sono le emozioni il motore dei nostri desideri più profondi». 

Le emozioni, costante immutabile dell’umanità, messe ancora una volta nel mirino della letteratura: è una storia antica quanto l’uomo, eppure Lavinia Lalle riesce a darle nuova linfa. Lo fa attraverso Caterina, un personaggio volutamente ingenuo, naïf e spensierato, modellato dall’autrice affinché fosse «il più possibile vicina a un bambino» e dunque un interprete sincero delle sue emozioni. 

«Il tutto nasce da un incontro che Caterina fa con la signora Renata, una signora molto anziana che lei incontra per caso, una sconosciuta, che le dice, in romanesco: “Tu non devi aver paura di aver paura”». È con questa semplice frase, infatti, che l’abitudine e la spontaneità con cui reprimiamo le sensazioni che non capiamo o che ci spaventa crolla, come un castello di carte. Nudi di questo spirito di auto-protezione soffocante, possiamo aprirci a nuovi orizzonti.

«Il messaggio che io lancio è: ascoltiamoci di più» ribadisce Lavinia Lalle: impariamo a considerare le nostre emozioni come stimolo per andare avanti, piuttosto che come freno che ci trattiene nella non comprensione di sé. «L’unica cosa che possiamo fare è ascoltarle, imparare a leggerle, perché sono il motore – ripeto – del nostro desiderio, perché l’emozione diventa pensiero, e quindi poi diventa azione concreta, e quindi possiamo diventare artefici più consapevoli di quello che è il nostro destino».

Una tale vocazione all’auto-comprensione e all’accettazione delle proprie fragilità è forse retaggio della formazione teatrale di Lavinia Lalle, che fin da bambina si impegna tanto sul palcoscenico quanto nella sceneggiatura. Ma, a sua detta, è stata soprattutto l’osservazione del mondo circostante – un circo di falsità e finzione – a farle aprire gli occhi: «ci troviamo spesso a dover dimostrare qualcosa che non siamo, siamo chiamati a stupire con effetti speciali… e questo porta necessariamente a non essere autentici, ad indossare quotidianamente una maschera che distorce completamente la nostra vita, in questa corsa per apparire in un certo modo. È come la maschera del teatro: da una parte ci dà sicurezza, dall’altra ci rende assolutamente schiavi». 

Come liberarci da questa schiavitù? Come ha fatto Caterina, con la spinta della signora Renata: ascoltandoci. Solo così, accettando le nostre emozioni e facendone il nostro punto di forza, saremo in grado di «trasformare l’ordinario in straordinario».

Guarda l’intervista a Lavinia Lalle nella sesta puntata di Classic Drive Art!

Giuseppe Carlini: quando il contatto con la natura diventa musica

Giuseppe Carlini: quando il contatto con la natura diventa musica

L’album Amplification of movement a Classic Drive Art

Giuseppe Carlini

 

Giuseppe CarliniIl suo primo album si intitola Amplifications of movement, amplificazioni di movimento: è così che Giuseppe Carlini riflette sul mondo che lo circonda. La natura in particolare. Musicista completo e solista nel progetto Plaster, Giuseppe ricollega la sua particolare sensibilità artistica e musicale al suo stretto rapporto con l’ambiente.

Lo racconta nella sesta puntata di Classic Drive Art, ripercorrendo i suoi primi passi nel mondo della musica. Il punto di partenza è stato proprio Amplifications of movement. «Sì, è un album che appunto nasce dalla mia relazione con la natura, che è stata molto forte e lo è ancora», ha detto. Realizzato nell’arco di quattro anni, e in un periodo di difficoltà, l’album «partito un po’ con l’idea di una ricerca di un’evoluzione personale, con l’idea poi di riportare tutte queste emozioni ed evoluzioni in corso d’opera».

Ma da che cosa nasce il titolo Amplifications of movement? Si tratta di un’espressione simbolica, nata proprio in seno allo scavo interiore dal quale è poi nato l’album. «È stata proprio una ricerca, ho scavato proprio dentro di me in maniera molto profonda. E quindi, appunto, da questo percorso nasce il nome Amplifications of movement, amplificare i movimenti. Mi ricordo, nello specifico, stavo osservando dei fiori e a un certo punto ho iniziato a riflettere: cosa succede all’interno di un fiore? Questi processi che non sono visibili ma danno forma al visibile. Da qui, appunto, amplificare i movimenti, i movimenti interiori. Piano piano poi si è sviluppato l’album fino alla fine, con l’ultima traccia, che poi è un po’ – come dire – una consapevolezza di questa trasformazione, cambiamento e leggerezza».

Un album, dunque, come registro e testimonianza di un viaggio interiore, verso una nuova consapevolezza. Che ruolo ha giocato la natura in questo? «Essendo nato, appunto, in campagna, in un piccolo paesino, dai 6, 7 anni ero già nel bosco» risponde. «Ho vissuto sempre giocando nel bosco fin da bambino, e quindi c’è un forte sentimento, un forte sentire con la natura e una forte connessione con la natura». 

Giuseppe CarliniIn fondo, che cosa c’è di più musicale del vento che soffia tra le fronde di un albero? Esiste qualcosa di più armonico di un ecosistema naturale? 

Giuseppe Carlino l’ha intuito presto, e su questa intuizione ha imperniato una vera e propria carriera. Tutto è nato nel 2008, quando Giuseppe e il suo migliore amico d’infanzia, Gianclaudio Hashem Moniri (in arte Kasba) decidono di chiudersi in camera per comporre un album. È il primo passo verso il loro sogno: il debutto nel mondo musicale. «Andavamo solo a fare la spesa e poi, giorno e notte, lavoravamo all’album», ricorda.
Risultato di questa full immersion è stato Platforms, primo album in assoluto del progetto Plaster. Primo di un viaggio che li avrebbe portati fino a Berlino, dove rilanciano il progetto su scala internazionale. 

«Da lì si sono aperte un sacco di strade: abbiamo iniziato a suonare a Berlino e poi sono arrivate le prime chiamate da altri festival internazionali. Siamo arrivati a Minsk, in Bielorussia, poi in Ucraina, Spagna, Giappone… siamo riusciti ad entrare anche in Gran Bretagna (che è difficilissimo), nell’etichetta di Andrea Parker. Lei ci contattò: era innamorata della nostra musica. Da quel momento ci si è aperto ancora un altro mondo, un’altra dimensione».

Cosa succede, dunque, all’interno di un fiore? Ebbene, evidentemente succede tutto. Infiniti mondi, infinite dimensioni, che si dispiegano nel futuro di chi – come Giuseppe Carlini – ha saputo fermarsi ad osservare le amplificazioni del suo movimento. 

 Valentina Baraldi

 

Il mio nome è Brian: il sogno di una risposta all’autismo

Il mio nome è Brian: il sogno di una risposta all’autismo

Valentina Esposito racconta il suo viaggio di mamma attraverso i disturbi del neurosviluppo 

Come si affronta la perplessità di fronte a un figlio che non ti abbraccia? I suoi occhi sono distanti, sembrano sfuggire al tuo amore di madre, le parole man mano spariscono dalle sue labbra e le sue manine sono sempre impegnate in qualche attività che lo allontana da te. Ti chiedi se hai sbagliato qualcosa, e in pochi secondi il senso di colpa diventa certezza, terrore. Poi, la diagnosi: «Spettro autistico». E ti ritrovi a riprogrammare il tuo istinto materno da zero. Come riuscirci? 

È quello che Classic Drive Art ha chiesto a Valentina Esposito, scrittrice, attivista per una più capillare conoscenza dell’autismo online e offline e, soprattutto, mamma di Brian. 

«Il nostro percorso nasce nel 2016, quando ricevo la diagnosi di autismo di mio figlio» racconta, scandendo le parole con decisione. È sicura davanti alla telecamera: la usa spesso sul canale YouTube dedicato al suo libro in uscita, Il mio nome è Brian, nel quale racconta la sua storia capitolo per capitolo. 

«Brian allora aveva tre anni, è un bambino che non parla e che ha numerosi comportamenti problematici, che non ci consentono neanche di uscire». La diagnosi avrebbe potuto essere l’ultima spinta verso il dolore e la disperazione, ma per Valentina, invece, è stata lo stimolo a reagire, l’inizio di un percorso. In salita, certo, ma sempre in avanti.

Il progetto Il mio nome è Brian nasce come naturale conseguenza della volontà materna di proteggere e capire il proprio bambino. 

«L’autismo è un cammino, irto di difficoltà, ma è anche un cammino di introspezione personale, che porta a cambiare tutta la propria visione del mondo. Ed è importante quindi cercare di far diventare questo cammino comune con altri genitori: per questo motivo, ho creato la pagina Il mio nome è Brian, dove racconto anche la storia di altre famiglie e di ragazzi autistici, che possono creare con altri un sentiero».

Cosa distingue un percorso da un sentiero? La comunione, la condivisione della fatica della salita con i compagni di viaggio: trovarne per sé, per Brian e per tutte le altre mamme che affrontano ogni giorno sfide simili alla sua è stato il primo obiettivo di Il mio nome è Brian. Cinque anni dopo la diagnosi, l’iniziativa si è trasformata in un libro, in una pagina Facebook, in un canale YouTube e, presto, in una rubrica ospitata proprio da Classic Drive Art: attorno a Valentina si è raccolta una vera e propria comunità di genitori da tutta Italia. «Nel nostro territorio, abbiamo creato un gruppo di mamme: alcune sono diventate, come lo sono diventata io, terapiste dei loro figli. Ci scambiamo quasi quotidianamente messaggi su esercizi, terapie…ma anche sfoghi».

Il viaggio di tutte le mamme e i papà di bambini con disturbi dello spettro autistico continua giorno per giorno, armato di dedizione e speranza e animato da un sogno: il sogno che Brian, così come gli altri bambini, un giorno riescano a parlare. 

Guarda l’intervista a Valentina Esposito nella quinta puntata di Classic Drive Art

 

 Valentina Baraldi

Genius Land a Classic Drive Art

Genius Land a Classic Drive Art


Il territorio puteolano tra classicità e innovazione 

 

«La cultura non è professione per pochi; è una condizione per tutti, che completa l’esistenza dell’uomo»: è con questa celeberrima citazione del grande Elio Vittorini che il sito di Genius Land, associazione culturale puteolana volta alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e naturale dei Campi Flegrei, si presenta al pubblico. Sono solo poche parole, ma in esse si condensano perfettamente la passione e la dedizione della piccola, agguerrita squadra che porta avanti l’iniziativa sul suolo vulcanico della provincia napoletana. 

A capo, Carlo  , fondatore e presidente di Genius Land, nonché ospite della quinta puntata di Classic Drive Art: spetta a lui il compito e il dovere di fare gli onori di casa, presentando l’associazione per il progetto profondamente sentito che è. Ne parla con affetto quasi paterno, spiegando come la scelta di dedicare tempo ed energia alla promozione delle bellezze del golfo di Pozzuoli sia nata dall’immarcescibile legame d’appartenenza che unisce i suoi soci, tutti puteolani «o comunque flegrei»  alla loro terra natia. Si tratta di collaboratori giovani, strappati di recente a lauree umanistiche legate al settore dei Beni Culturali, desiderosi di rilanciare la storia millenaria della loro patria verso un futuro pieno di opportunità. Anche la dicitura ‘Genius Land’ va nella stessa direzione: «per il nome dell’associazione»  rivela infatti Volpe  «abbiamo un po’ giocato con questa ambiguità tra inglese e latino» richiamando le radici classiche del territorio e strizzando contemporaneamente l’occhio all’innovazione di cui la valorizzazione storico-artistica dei beni culturali e del territorio non solo di Pozzuoli, ma di tutti i Campi Flegrei.

Il fine ultimo al quale Genius Land aspira è chiaro: «legare la storia del territorio alla grande storia».  Dichiara infatti Carlo Volpe: «Io credo che i cittadini debbano essere consapevoli del fatto che la loro storia faccia parte di un processo molto più grande e che tutti noi cittadini siamo parte di questo processo storico». 

 

Come instillare in visitatori ignari e autoctoni curiosi una tale consapevolezza? Genius Land opta per un approccio autoptico: vedere per credere. Ecco perché le principali attività proposte dall’ente sono visite guidate, volte all’esplorazione capillare del perimetro di quello che in un tempo ormai remoto era un supervulcano. 

«Abbiamo anche in questo campo cercato di trovare nuovi itinerari, dei walking tour nella città di Pozzuoli, alla ricerca per esempio dei palazzi storici della città. Pozzuoli ha avuto una caotica espansione edilizia, quindi oggi è difficile riconoscere i palazzi nobiliari del Cinquecento» spiega Carlo Volpe. 

Quello che l’associazione cerca di trasmettere ai propri clienti, in definitiva, è la curiosità e la fame di conoscenza verso una terra che, secolo dopo secolo, ha assorbito culture, segreti e mistero, restando testimone immemore del passare del tempo. Ad approfondire il tema, il direttore chiama in causa Simona Pollio, guida turistica regionale di Genius Land e instancabile promotrice delle bellezze nascoste dei Campi Flegrei: «siamo in un territorio che spazia veramente non soltanto in quello che è il periodo più forte che lo ha caratterizzato, quello greco-romano, con tutto poi l’aspetto legato alla renovatio imperii con Ottaviano Augusto» spiega «ma abbiamo anche un territorio bellissimo dal punto di vista vulcanico, quindi floristico e faunistico, oltre che enogastronomico». Il suolo vulcanico, infatti, rende il golfo puteolano estremamente fertile, tanto biologicamente – sorgono qui «antiche culture di viti, come la Gemina minata, che sarebbe l’Aglianico, uno dei prodotti DOC del territorio, nonché appunto Falanghina» – quanto culturalmente. Dalle Terme di Baia, decantate dal poeta latino Orazio, all’antichissima acropoli di Cuma, dal sorprendente Rione Terra al Tempio di Serapide, dai resti medievali fino alla pinacoteca di pitture seicentesche conservata nel tempio-duomo poco distante dal primo nucleo abitativo della città: «bisognerebbe restare nei Campi Flegrei almeno un mese per avere l’opportunità di goderne appieno e completamente» conclude Simona Pollio, sorridendo.

È proprio alla valorizzazione di questa composita ricchezza che punta il progetto culturale di Genius Land, facendosi carico di una convinzione che apparteneva già a Orazio, quando nel I sec. a.C. scriveva «Nullus in orbe sinus Baiis praelucet amoenis»: nessun golfo al mondo risplende più dell’amena Baia. 

 

                                                                                                                                           Valentina Baraldi

Adele Mimù: la pittrice che colora la vita con tele balsamo per l’anima

Adele Mimù: la pittrice che colora la vita con tele balsamo per l’anima

L’artista si racconta ai microfoni di Classic Drive Art

Il colore per Adele Mimù è lo specchio dello stato spirituale di una persona. Ogni individuo ha un suo colore, una sua tonalità la cui luce viene emanata dalle proprie membra. Nelle opere dell’artista il pigmento diviene lo strumento ideale per proiettare immediatamente sentimenti e stati d’animo soggettivi, spunti dialettici, testimonianze multiformi della realtà o immaginifiche. Le sfumature cromatiche decise e mordenti non hanno valenza oggettiva, ma offrono lo spunto per una lettura in chiave personale.

Adele Mimù ricorre a tinte potenti, spesso stranianti, che supportano una mai vacillante serenità di fondo, sia dal punto di vista iconografico che tematico. Ciò perché intende esprimere l’istintivo ritorno ad una natura ancestrale e passionale, senza filtri né costrutti, in cui l’armonia cromatica ben si adatta a soggetti ideali e naturalistici, mitologici o tratti dal reale.

Le sue opere, come la vita, si ergono su un equilibrio cromatico stabile, saturo, e su una gestualità armonicamente determinata. In tal senso, i rossi cremisi e i blu fiordaliso, i giallo crema e i verdi giada, sembrano acquisire facoltà terapeutiche: adattati a fiori e sirene, pesci e volatili, esortano l’osservatore a concepire il mistero come cura del sé. Ne derivano opere che parlano a pochi eletti, a quanti siano disposti ad accettare e ad accogliere lo stupor e la meraviglia. Forme e colori, smarrito qualsiasi rapporto di equilibrio e reciprocità, animano le tele di una danza sinuosa in cui cieli si fondono a manti fioriti, chiome di capelli folti e turchini si mescolano a pesci rosei, con il preciso obiettivo di mettere in crisi qualsiasi stereotipo.

Il colore, che è protagonista e contestualmente mezzo espressivo, dialoga con soggetti propri dell’innocenza e dell’entusiasmo della fanciullezza, fondamentali per rinascere. Si rinasce quanto occorre da ciò che la memoria ha salvato o da ciò che la fantasia libera riesce a suggerirci. Rinascere ogni giorno è la condizione necessaria per la creatività di un’anima, quale quella di Adele, sincera e limpida, che attinge dalla profondità del proprio cuore sperimentando il senso di sé.

Toni dominanti e ricorrenti si combinano vicendevolmente: il blu delle acque lontane e che solo le sirene possono raggiungere; il rosso che è il colore dei baci e che lenisce la tristezza; il giallo e l’arancio del caldo che brilla e che ride. Subiscono continue variazioni adeguandosi alla ricerca sofisticata di armonie cromatiche appaganti. Una vera festa per gli occhi che si nutrono di accostamenti di colori espressivi, improvvisi e compositi, apparentemente disabbinati, ma comunque affini.

Ho incontrato Adele Mimù come per caso, in una calda giornata estiva. Ho incontrato la sua arte e la sua anima di fronte ad una tazza di caffè freddo. Ho incontrato il suo equilibrio e la sua empatia, la sua audacia e la sua determinazione che ho fuso con la mia curiosità e il mio entusiasmo. Ho incontrato lo sguardo ipnotico di una sirena che fra i capelli aveva racemi di fiori gialli e i petali cremisi di un roseto su tela e mi sono sentita parte di un mondo che è altro, che è altrove.

Guarda l’intervista ad Adele Minù nella quinta puntata di Classic Drive Art

                                                                                                              Federica Acierno