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Norton Commando Fastback: una 750 davvero British

Il geniale Stefan Bauer nel 1967 realizzò un inedito modello di motocicletta di grossa cilindrata per rilanciare le vacillanti sorti del celeberrimo Marchio “made in England”, quando già la concorrenza italiana tedesca e nipponica, si faceva sempre più forte nel panorama motoristico dell’epoca. Il patron della Norton, Dennis Poore, non lasciò però il brillante Bauer da solo alle prese con quello che doveva rappresentare il progetto del rilancio del Marchio e gli affiancò due valenti personaggi già da tempo professionisti in casa Norton: lo stilista Bob Trigg ed il tecnico Bernard Hooper.

Nel 1967, però, Bauer lasciò la Norton e venne ingaggiato al suo posto Alex Issigonis, già noto progettista della graziosa Mini, famosissima utilitaria sportiva. Fu due anni dopo, invece, quando al nome Commando, venne aggiunto “Fastback”. I ruttori d’accensione vennero spostati davanti ai cilindri e comandati dall’estremità destra dell’asse a camme. Poco dopo, nel 1971, la Commando era presente sul mercato mondiale in ben 12.000 unità, moto che gravitavano per lo più negli States, in Europa e, chiaramente, in patria. La versione sportiva partecipò al Tourist Trophy, mentre in USA la si vedeva protagonista sulle piste di dirt-track.

Il telaio della interessante maxi inglese era decisamente inedito e razionale; era infatti caratterizzato da un robusto trave tubolare superiore e dalla doppia culla chiusa inferiore. Il suo motore era, invece, il classico bicilindrico anglosassone Atlas 750, derivato dal tipo “7” del 1948, ma inclinato in avanti di 20° per donare alla moto un aspetto ancor più dinamico, ridurne l’altezza ed abbassarne il baricentro di quel tanto che bastava per renderla molto più stabile. Il bicilindrico però soffriva sulle lunghe distanze agli alti regimi, tanto che le fastidiose, ma fisiologiche vibrazioni, causavano spesso trafilaggi di olio ed un pericoloso allentamento della bulloneria, che doveva essere controllata con molta frequenza.

Ciò che rendeva la Commando veramente innovativa ed originale era il sistema di montaggio del suo motore: l’Isolastic. Questa tecnologia permetteva di isolare appunto l’intera motocicletta dalle vibrazioni del suo propulsore. Grazie a tale ingegnoso meccanismo, venivano montati elasticamente sia il motore che il forcellone e più precisamente, gli attacchi elastici erano tre: due per il motore ed uno per il forcellone. Tutto ciò non creava problemi di allineamento, anzi, riusciva anche a donare lunga vita alla catena di trasmissione finale. Chiaramente, per farlo “rendere” al meglio, le cure da fornire all’Isolastic dovevano essere rigorose e periodiche, come doverose dovevano essere anche quelle per il potente propulsore. Sempre contro le vibrazioni, venivano aggiunti dei fermi alle ghiere dei collettori, mentre i silenziatori erano montati elasticamente e, al telaio, avvitate, con l’interposizione di tamponi di gomma in unico pezzo, le piastre portapedane in alluminio.

Riguardo al telaio, è molto importante, per chi volesse acquistare una Commando, controllare sempre la corrispondenza e quindi la coincidenza dei suoi numeri con quelli del motore.
I carburatori Amal Concentric 930 rappresentavano i punti deboli della Commando: questi, infatti, trasudavano regolarmente e spesso vedevano una precoce usura delle parti interne. Inoltre, per l’avviamento a freddo si doveva “cicchettare” abbondantemente fino allo straripamento della benzina.

I freni erano entrambi a tamburo: l’anteriore, centrale, era dotato di doppia camma da 203 mm con comando a cavo singolo e registro a vite. Era inoltre caratterizzato dalla presa di ventilazione e da tre fori di fuga, che potevano essere chiusi da placchette metalliche. L’efficacia della frenata era limitata, in relazione alle prestazioni della moto. Il freno posteriore era invece da 177,5 mm a tamburo laterale, aveva la presa di movimento per il tachimetro ed il suo scarsissimo potere frenante era compensato dall’ottimo freno motore. La forcella Roadholder a doppio effetto, mantenne i soffietti fino al 1971; mentre, le sospensioni posteriori Girling con precarico della molla regolabili su tre posizioni erano cromate e molto efficaci. La leva del cambio e quella del freno erano site in posizione comoda e risultavano molto naturali da azionare, mentre le pedane erano piuttosto arretrate, caratteristica di estrema sportività per una motocicletta dell’epoca.

Con la Fastback MK II, sono poi stati adottati i terminali rialzati delle marmitte con uscita a doppio cono, dal sound inconfondibile e dall’ottima resa. La proverbiale snellezza delle maxi inglesi si evinceva facilmente osservandole frontalmente, mentre, l’unico neo estetico ad inficiare la loro silhouette era il portatarga originale, di gran lunga più largo della targa stessa. Nella precisa e sportiva strumentazione Smiths non poteva mancare l’amperometro sul dorso cromato del faro, insieme all’interruttore ed alla spia dell’abbagliante. I comandi elettrici al manubrio erano invece gli ormai introvabili Wipac Triconsul, montati fino al 1971, successivamente sostituiti con i classici Lucas.

I due pomelli tondi e piatti, presenti subito sopra i molloni delle sospensioni posteriori, servivano per smontare rapidamente la sella, sotto la quale si trovavano la batteria, il tappo del serbatoio dell’olio, l’impedenza del regolatore di tensione montato elasticamente e, nel vano ricavato all’interno della coda, si trovavano la completa dotazione dei ferri adatti ad una bulloneria in pollici, caratteristica comune a tutte le moto inglesi.

La bruciante Fastback (posteriore veloce), aveva una fisionomia innovativa per gli anni Sessanta ed era dotata di due originalissimi particolari: il codino dritto, che le donava un tocco di grande sportività, rivoluzionando l’estetica delle corsaiole dello stesso periodo e la sella, che imbottiva lateralmente la parte finale del lucido serbatoio, regalava al fortunato centauro un assetto di guida comodo e sicuro, per poter affrontare, con estrema disinvoltura, qualsiasi percorso. Le sue brucianti accelerazioni… e la sua “voce”, ai molti appassionati ricordano gli scatti di un leone ed il suo potente ruggito! E chi l’ha avuta, ha questa immagine ancora stampata nella memoria!

Autore: Pier Paolo Fraddosio

La storia delle Moto Guzzi V7: la mitica V7 Sport e la 850

1971: LA V7 SPORT – 750 S (1974) – 750 S3 (1975)
Una pubblicità dell’epoca recitava: 200 Kg, 200 Km/h! . Già, la Sport , come anche le sue derivate 750S ed S3 , pesavano 205 Kg e raggiungevano l’invidiabile velocità massima di 208 Km/h. E’ nel 1971 che sulla scena apparì una delle più belle, robuste e prestazionali motociclette sportive: la V7 Sport , concepita e realizzata dall’ingegner Lino Tonti, progettista del telaio assai prestazionale, denominato bassotto per via della sua minima altezza da terra, del baricentro basso, e della sua forma allungata. Esclusivamente nel 1971 la Sport venne progettata e costruita a mano dal Reparto Esperienze con telaio verniciato di rosso in cromo-molibdeno, in serie limitata: solamente 150 pezzi. Dal 1972, invece, non venne più costruita a mano, ma in serie ed il telaio divenne nero con tubi d’acciaio normalizzato. 72 CV a 7.000 giri/min vantava la Sport, aveva chiaramente lo stesso propulsore a V di 90°, ma questa volta di cilindrata 748,4 cc, con le classiche valvole in testa; la distribuzione ad aste e bilancieri; cilindri in alluminio cromati e due possenti carburatori Dell’Orto VHB da 30 mm.

Il telaio progettato da Tonti era diverso da quello delle sorelle V7 700 e V7 Special perché era sicuramente più schiacciato, sempre a doppia culla, ora non più chiusa, ma con elementi smontabili, proprio per aver più facilità nello smontaggio del motore. La sospensione anteriore era teleidrauica e gli ammortizzatori posteriori i famosi Koni. Il cambio a cinque rapporti si trovava sulla destra ed era a leva singola, con la prima in alto. Nota dolente, forse l’unica di questa superba motocicletta era la frenata: i grandi tamburi da 220 mm non bastavano, spesso, ad assicurare al centauro una buona dose di sicurezza nelle frenate improvvise, pur essendo dotati di quattro ganasce autoavvolgenti.

Un cenno va sicuramente dedicato ad altri due modelli di prestigio derivati direttamente dalla Sport : la 750 S e la sua sorella più piccola S3. La S vide la luce nel 1974 come evoluzione della Sport, della quale ereditò il telaio, il gruppo motore e cambio, la trasmissione, le ruote, gli ammortizzatori, ma non la verniciatura: aveva, infatti, la livrea nera con bande verdi, arancioni o rosse sul serbatoio e sui fianchetti laterali; il disegno della sella passò dalla classica due posti ad una da un posto e mezzo, di forma particolare, ma sicuramente più sportiva. Non assomigliò, per fortuna, alla sua parente stretta solo per quanto riguarda la frenata: erano infatti scomparsi i freni anteriori a tamburo per lasciare il posto ad un doppio freno a disco, sicuramente più efficace. C’è però da aggiungere che, durante la produzione della Sport, la Moto Guzzi, per accontentare i centauri più esigenti, offrì, a richiesta, un kit after market fabbricato in collaborazone con la Brembo e composto da un doppio freno a disco, che, successivamente, sulla S e sulla S3 fu montato di serie.

La S3 venne presentata nel 1975, nata durante la direzione De Tomaso e nell’ambito della cooperazione del gruppo Benelli-Guzzi. Era bella, ma nient’altro che una S, equipaggiata con la strumentazione e i gruppi ottici già utilizzati per tutti i modelli Benelli-Guzzi. Di un’importante innovazione dal punto di vista tecnico venne dotata, però, come anche la T3 e la Idroconvert : il sistema di frenata integrale a triplo disco, brevettato dalla Moto Guzzi. Furono inoltre eliminati: l’esclusivo manubrio in due pezzi regolabile in altezza montato sulla Sport e sulla S, sostituito da semimanubri e le cassette porta-attrezzi, sostituite da semplici copri-batteria. La modifica all’impianto frenate era ottima per la guida turistica, ma inibiva sicuramente l’uso sportivo della moto; fu inoltre pesantemente criticata dalla clientela. La produzione cessò nel 1976, dopo aver totalizzato 981 esemplari.

1972: LA V7 850 GT – 850 T (1974) – 850 T3 (1975)
La vera maxi-moto italiana da granturismo anni ’70 è sicuramente stata la Moto Guzzi V7 850 GT , presentata nel 1972 e rimasta in produzione fino al 1974. Era stata costruita per sostituire, migliorare e senza dubbio svecchiare la Special. La GT si presentava, infatti, con livree dal rosso al nero, al verde, tutti metallizzati e vivaci, insieme con parafanghi cromati e gli stessi freni a tamburo del V7 Sport . La sella era una poltrona a due posti, da vera granturismo. Per rispondere alla provocazioni di modernità lanciate dalle sfavillanti moto nipponiche, in particolare delle Honda CB Four, la GT, per prima, venne dotata anche di frecce. I cerchi Borrani da 18″ erano gli stessi della Special e della Sport , ma a differenza di quest’ultima, la GT era molto più pesante (249 Kg in ordine di marcia) e, per tale motivo, i freni a tamburo da 220 doppia ganascia doppio lato erano insufficienti ad arrestare il suo avanzare veloce. Il cambio era questa volta a cinque rapporti dei quali l’ultimo in particolare permetteva a questa elegante motocicletta di far godere al centauro ed al passeggero un comfort senza pari. Il propulsore erogava 64 CV a 6.500 giri/min; il telaio era come quello della Special a doppia culla continua in tubi.

Un particolare allestimento della GT era la quello California, la cui livrea era nera con adesivi bianchi e si differenziava dalla GT: per la sella, che in tale allestimento diventava un generosissimo sellone unico, che richiamava quello della statunitense Harley-Davidson, nero con i bordi bianchi; la strumentazione diventava quindi mono strumento con spie esterne; infine era differente il manubrio, che sulla California era molto largo, a forma di corna di bue. Quelli che erano accessori per la V7 700, per la Special e per la GT, diventavano di serie per la California, ovvero: paracolpi posteriori, borse laterali, questa volta in plastica leggermente più grandi e parabrezza molto ampio, con attacchi cromati direttamente sugli steli della forcella anteriore. Nel 1974, stesso anno della presentazione al pubblico della 750 S, fu prodotta la prima 850 T, una moto dotata dello stesso telaio Tonti che permetteva alla V7 sportive di avere un’ottima stabilità in curva anche a velocità elevate. Era sicuramente meno imponente delle sorelle maggiori Special e GT soprattutto per via della sua mole, pur essendo anch’essa una moto da turismo: si presentava infatti più slanciata, ma sicuramente meno affascinante delle V7 dotate di dinamo. La T, come la Sport, la S, e la S3, aveva un alternatore sito nella parte anteriore del propulsore, dietro al parafango anteriore. Era essenzialmente una motocicletta più simile alle nipponiche quanto ad agilità; aveva infatti una forcella più performante, diversa da quella morbida a steli rovesciati della Special e della GT. Il doppio freno a disco anteriore era composto, come alcune Sport, le S e le S3, da pinze Brembo.

Nel 1975, la Moto Guzzi presentò, in contemporanea alla S3, la T3. Quest’ultima seguiva la stessa filosofia costruttiva della S3: vantava come dotazione di serie la frenata integrale a tre dischi: la leva del freno anteriore comandava uno solo dei due dischi anteriori, mentre il pedale del freno posteriore, questa volta allocato sulla destra del propulsore, ripartiva la frenata tra il disco posteriore e l’altro anteriore. Per il resto era nient’altro che una T . Fortunata fu la versione California T3, anche se prodotta nel periodo della deludente, quanto a ricercatezza e robustezza dei materiali plastici ed elettrici, gestione De Tomaso; tranne che per la sua livrea nera con filetti bianchi questa moto aveva le stesse caratteristiche della T3 normale, compreso il sistema di frenata integrale. Insieme con la S, l’ S3 e la T, la T3 aveva, inoltre, la leva del cambio, sempre a cinque rapporti, sulla sinistra del blocco motore, ma ora con la prima in basso come le moto che ancora oggi sono in produzione.

GUIDARE LA V7: UNA VERA POESIA
Guidare oggi una V7 è come ballare con una bella ragazza. Proprio così, la nostra amata V7 la si può condurre paciosamente ad una velocità di crociera di circa 70/80 km/h, godendosi il panorama, oppure la si può lanciare ad alte velocità accompagnandola però sempre nelle curve; come nella danza, infatti, bisogna indicare alla propria dama i diversi passi da seguire, con lei si deve mostrarle la giusta traiettoria. L’affiatamento che si può avere con questa affascinante maxi è simile a quello che si crea spesso tra uomo ed animale: infatti, alcuni mezzi storici e tra questi vi è sicuramente anche la V7, possiedono un’anima. I due carburatori palpitano, mentre i possenti cilindri riscaldano e proteggono le gambe del centauro; il suono, perché solo così si può definire ciò che si sente stando alla guida della moto, è un ritmo antico, ricco di storia; la V7 riesce a portarci indietro nel tempo, a farci fare un tuffo in quel passato che fa cadere, ad ogni accelerata, la sua grigia patina per diventare sempre più il nostro presente.

Autore: Pier Paolo Fraddosio

La storia delle Moto Guzzi V7 – I bufali di Mandello

La grande famiglia delle Moto Guzzi V7, con le sue quattro versioni pure: V7 700, V7 Special, V7 Sport e V7 850GT, l’allestimento California e le sue versioni derivate: S, S3, T, T3, è stata concepita tra il 1959 ed il 1975. In questi anni, precisamente alla fine del 1959, l’ingegner Giulio Cesare Carcano, storico progettista del Reparto Corse e colui che creò molte delle Moto Guzzi da Gran Premio, realizzò, in completa autonomia, un potente motore bicilindrico a V di 90°, che diventò l’invincibile capostipite di una lunghissima progenie di due cilindri, che ancora oggi ogni modello di Moto Guzzi sfoggia con grande baldanza. In questa sede cercheremo di raccontare al meglio tutta la storia di queste incredibili bicilindriche, dividendola in due puntate: una la state leggendo ora e, la seconda sarà online tra una settimana esatta.

La V7 fu presentata ufficialmente, nel 1965, al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano, in un contesto commerciale non facile per la Moto Guzzi; la casa di Mandello sul Lario, infatti, risentì molto delle sfortunate operazioni economiche operate dai Parodi, storici proprietari del Marchio. In seguito, la situazione si risolleverà solamente grazie alla gestione SEIMM. Molto successo ebbe la V7, soprattutto nelle sue versioni Special e Sport: le sue doti erano infatti la grande affidabilità, la resistenza e la potenza. La V7 Special, in particolare, all’epoca aveva come rivali: la Bmw R75/5, sicuramente più blasonata, rifinita, ma meno tetragona della nostra moto nazionale; la Bsa Lightning, molto elegante, ma alquanto ed irrimediabilmente delicata, come tutte le britanniche. La V7 Sport, invece, vedeva come proprie antagoniste le nipponiche: Honda CB 750 Four, Kawasaki 750 H2, Suzuki 750 GT, molto veloci, scintillanti, accessoriate, ma, rispetto alla Moto Guzzi Sport, molto meno affidabili in generale e nelle curve in particolare: infatti la Sport era dotata di un telaio progettato e costruito dall’ingegner Lino Tonti – ex Benelli, Aermacchi, Bianchi e Gilera – che reagiva ottimamente anche alle alte velocità.

La V7, in listino fino al 1975, nelle sue varie versioni ed allestimenti, è oggi considerata un cult: una moto che fu progettata essenzialmente per durare nel tempo e per non sfigurare nemmeno rispetto alle moto più moderne. Nel giugno e nell’ottobre del 1969, sulla pista d’alta velocità di Monza, la V7 stabilì numerosi record mondiali delle classi 750 e 1000 cc; il motore era derivato da quello della Special e fu affidato alla bravura dei piloti Vittorio Brambilla, Alberto Pagani, Patrignani, Bertarelli, Tenconi, Trabalzini e Venturi. Questo bolide da competizione erogava 68 CV a 6500 giri, con compressione di 9,6:1; i carburatori erano i leggendari Dell’Orto SSI da 38 mm; il cambio rimaneva di serie a 4 velocità, con rapporto modificato alla coppia finale. Per poter aumentare la velocità di punta la moto fu alleggerita e, togliendo parecchi accessori, arrivò a pesare solamente 158 Kg, compresa la carena in vetroresina ed il capiente serbatoio in lega leggera da 29 litri. I risultati raggiunti furono i 100 Km alla media di 218,426 Km/h, l’Ora a 217,040 Km/h ed i 1000 Km a 205,932 Km/h. Visti i record raggiunti dai due prototipi e viste inoltre le numerose richieste della clientela sportiva, la Moto Guzzi lanciò sul mercato, nel 1971, la prima versione di serie della V7 Sport, montata a mano presso il Reparto esperienze Moto Guzzi. La moto sfoggiava un telaio in cromo-molibdeno rosso, livrea verde metallizzata, con parafanghi cromati: era bellissima, sportiva e soprattutto molto potente e veloce.

1965: LA V7 700
Questa motocicletta era dotata di un motore semplificato rispetto al prototipo del bicilindrico di Carcano, che originariamente avrebbe dovuto avere un uso puramente automobilistico. Tale massiccio motore, pesante 92 Kg compreso di blocco trasmissione, era dotato di un unico albero a camme al centro della V dei due cilindri; la distribuzione era ad aste e bilancieri, molto robusta e duratura e l’albero motore in acciaio in un unico pezzo. I due imponenti cilindri erano in lega leggera ed avevano una particolarità, apparsa per la prima volta in ambito motociclistico: le canne cromate. Le valvole erano inclinate di 70°, i due carburatori Dell’Orto SSI da 29 mm e l’accensione a spinterogeno. La frizione era a doppio disco a secco ed il cambio a quattro rapporti azionato da una leva a bilanciere sulla destra del propulsore, la trasmissione finale, invece, ad albero cardanico.

I collaudi del prototipo della V7 700 iniziarono nel 1964. Lo scheletro di tal modello primordiale era un telaio a doppia culla chiusa in tubi d’acciaio, forcella anteriore teleidraulica a steli rovesciati e forcellone posteriore oscillante per mezzo di un doppio ammortizzatore idraulico a molla esterna cromata regolabile su 3 posizioni, che la rendevano sicuramente molto morbida e confortevole; i freni a tamburo misuravano 220 mm ed avevano la doppia camma anteriore e la singola posteriore. Il peso della V7, 230 Kg, era decisamente elevato rispetto alla media delle altre motociclette, ma ciò faceva intendere quanto questo mezzo fosse robusto e soprattutto affidabile, soprattutto se si pensa che la sua velocità di punta toccava i 160 Km/h.

1969: LA V7 SPECIAL
La V7 700 rimase in produzione fino al 1969 quando passò il testimone alla celeberrima V7 Special: sicuramente il modello più rappresentativo negli anni in cui la Moto Guzzi passò alla gestione SEIMM. Fu proprio la motocicletta che servì per rilanciare il Marchio italiano dopo la già accennata crisi interna. La Special venne progettata da Lino Tonti e dal Reparto esperienze con motore di 757,4 cc e le differenze rispetto alla 700 cc non furono copiose, ma significative. Sicuramente le più lampanti sono quelle cromatiche: la V7 Special aveva, infatti, una sola livrea bianca con il dorso del serbatoio nero, i filetti rossi e le svasature cromate del serbatoio – ora di forma diversa data la maggiore capacità – all’altezza delle ginocchia; una delle più importanti differenze, se non la più importante, a parte l’aumento di cilindrata, consisteva nei carburatori che erano sempre Dell’Orto, ma VHB a valvola piatta da 29 mm muniti di leva dell’aria. Altri miglioramenti, visto anche l’incremento della potenza, furono: l’adozione di un rinforzo del telaio nella zona del cannotto di sterzo e l’irrigidimento della forcella, sicuramente più prestazionale e sicura nel misto. La strumentazione era sicuramente più completa, perché dotata anche di un contagiri, del quale la 700 era mancante; mentre il motorino di avviamento si azionava non più girando solamente la chiave nel cruscotto, ma spostandola solo per creare contatto elettrico, dovendo poi comunque premere il pulsante della messa in moto, sito sulla destra del manubrio in posizione molto riparata, ma molto agevole per il fortunato centauro.

Gli accessori forniti dalla Casa Madre erano molteplici: il grande cupolone in vetroresina in tinta con il colore della moto, che la rendeva sicuramente più imponente di quanto già non fosse; il paracolpi posteriore cromato, utilissimo al passeggero per poggiarvi i piedi, sia per questioni di sicurezza in caso di incidente; le borse laterali di due tipi, entrambe in ferro complete del loro telaio cromato di fissaggio alla moto, relativamente capienti ed infine, per le versioni militari, la sirena. La Special era definita anche mucca, per via del colore della livrea che ricordava le mucche di razza Frisona bianche e nere anch’esse. La facilità di guida era una delle peculiarità della mucca di Mandello, il comfort e la maneggevolezza erano doti che le venivano direttamente dalla sella molto ampia e dalle sospensioni soffici, che avevano però il grande limite delle curve, ma solo se affrontate con imperizia o con guida molto sportiva a velocità elevata. Quando si guidava su una Special sembrava di essere seduti su un comodo motore che, possente, poteva soddisfare in ogni situazione, anche nelle asperità delle strade malmesse. Per la prima volta la Moto Guzzi riuscì ad esportare, proprio a seguito di molteplici richieste civili e commesse militari, questa solidissima e veloce motocicletta, denominata però Ambassador e California, fino a Los Angeles – dov’era utilizzata dalla polizia – passando da alcune Nazioni europee. Era una vera maximoto da granturismo, utile, pratica ed indistruttibile, capace di macinare migliaia di chilometri.

Autore: Pier Paolo Fraddosio

Cinquecento d’epoca

€3000

Cinquecento del 1972, rosso mattone, targa originale, libretto duplicato, fondi rifatti, batteria ed alternatore nuovi, interni in ottime condizioni, carrozzeria da rivedere le cromature, auto in garage.

EMAIL: studioaresco@alice.it

NOME: SALVATORE

TELEFONO: 3391800397

REGIONE: TOSCANA

SIMSON 425 S SIDECAR 1958

€4800

Documenti e targa In regola
Pneumatici nuovi
Omologato come motociclo con carrozzino staccabile, quindi da poter usare sia con sia senza il sidecar.
Da restaurare
Inclusa nel prezzo un’altra moto ed un altro motore dello stesso modello per ricambi. – See more at:

EMAIL: mauriziodotoli@yahoo.it

NOME: MAURIZIO

TELEFONO: 3339179938

REGIONE: CAMPANIA

MOTO GUZZI S 500 SIDECAR 1935

€21000

Bellissima
Targa Napoli originale a 4 numeri,documenti in regola,omologata motocarrozzetta
Perfetta
Carrozzino con parabrezza ribaltabile , porta di accesso con predellino e bagagliaio

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REGIONE: CAMPANIA

TRIUPH T120 R BONNEVILLE/TROPHY ENDURO 1971

€7500

Anno di costruzione 1971

Anno di immatricolazione 1974

Rara versione Trophy Enduro realizzata dall’importatore italiano Bepi Koelliker nel 1974 in soli 60 esemplari

Allestimento Bonneville

Matching Numbers

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REGIONE: CAMPANIA

MOTO MORINI CORSARINO 1967

€2250

MotoMorini Corsarino 50
Librettino originale
Molto bello

Anno Anno 1967
Colore rosso

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REGIONE: CAMPANIA

PIAGGIO VESPA 50 L 1969

€1900

Una vera chicca, aro tondo.

Restaurata

km 1000
Librettino originale
Certiicata FMI
Certiicato di rilevanza storica
Ruota di scorta

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NOME: MAURIZIO

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REGIONE: CAMPANIA

BSA A 65 LIGHTNING 1970

€8400

Anno 1970

Matching numbers

Targa e documenti originali

Gia’ Certiicata Asi

Tagliandata

Carburatori nuovi

Molto bella

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EMAIL: mauriziodotoli@yahoo.it

NOME: MAURIZIO

TELEFONO: 3339179938

REGIONE: CAMPANIA